1° assioma - Non si può non comunicare. Non esiste un qualcosa che sia un non-comportamento. Le parole, il silenzio o l'attività hanno valore di messaggio, influenzano gli altri e gli altri a loro volta rispondono a tale comunicazione. Paul Watzlawick
Nelle scorse settimane non ho scritto niente, avevo tanto su cui riflettere e ho scelto la via del silenzio. Il mio non comunicare qui sul blog è stato interpretato, come giustamente ci ricorda il primo assioma della comunicazione, ed ha generato delle reazioni. Mi sono arrivati molti messaggi che chiedevano il perché del mio silenzio, altri che mi esortavano a dire la mia ed altri che semplicemente si dispiacevano per la relazione cui mi stavo sottraendo.
Li ho lasciati decantare, ho aspettato a rispondere per capire che effetto mio facevano profondamente e mi sono decisa stamattina, complice anche una interruzione forzata dei miei piani programmati, a dare una forma scritta al mio pensiero.
Sono una persona che parla parecchio, che attacca bottone anche alla fila alla cassa, che ama relazionarsi. Quando ero bambina mia madre mi ricordava spesso quando uscivamo che potevo evitare di raccontare nei dettagli la nostra vita casalinga e che c’erano momenti adatti per parlare ed altri meno adatti (ma con scarsi risultati, ero capacissima ben prima degli anni della scuola di attirare l’attenzione di perfetti sconosciuti al ristorante per raccontare loro una barzelletta sufficientemente blasfema che i miei ignoravano conoscessi, giusto per fare un esempio).
Non per questo credo di dover parlare sempre. So che avere una voce non mi autorizza ad usarla a caso, quindi spesso rifletto su argomenti di cui poi non parlo. Almeno non pubblicamente, perché farne un post qui o sui social mi sembrerebbe come aprire la finestra e gridare il mio parere alle persone che passano in strada.
Magari scambio opinioni con le persone della mia cerchia amicale, davanti ad un caffè, durante una pausa lavorativa, in una telefonata, in un messaggio privato.
Pubblicamente, ci sono molti argomenti di cui non parlo. Anzi, potrei dire che non parlo della maggior parte degli argomenti.
La nostra epoca sembra legittimarci sempre a dire la nostra, talvolta a pontificare, a dare voce ai pensieri anche prima di aver finito di pensarli. Lo Spirito del Tempo difende in questo modo la libertà dell’individuo a dire, o perlomeno così viene spesso interpretato. La tentazione diventa quella di dire la nostra su ogni argomento che sia, anche solo per dieci minuti, un trend.
Lo Spirito del Profondo mi chiede un comportamento diverso, che nelle ultime settimane per me trova una buona rappresentazione in una delle carte dei Tarocchi, il cavaliere di spade.
Si tratta di un personaggio alla ricerca della conoscenza e della logica, una mente mercuriale costantemente alla ricerca della verità. Il cavaliere di spade è un invito a pensare due volte (o anche di più) prima di dire, ad esplorare altri punti di vista o, in termini più junghiani, ad amplificare i significati.
Su tante questioni io un pensiero completo non ce l’ho: ne ho uno pensato ma sporcato dalla mia esperienza di vita, dalle mie credenze e anche dai miei pregiudizi (mettiamolo sempre in conto che non siamo mai così obiettivi, anche se lavoriamo alacremente al contenimento delle nostre semplificazioni). Ho spesso un sentire emotivo, una reazione che definirei affettiva (proprio in quanto ha a che fare con i complessi a tonalità affettiva che configurano il mio inconscio), ma non un vero e proprio pensiero.
Per queso non dico la mia sulla guerra (e mi fa anche un po’ male che se scrivo questa parola si pensi solo al conflitto attualmente più narrato dai media) e non dico la mia sulla cronaca. Percepisco, sento, reagisco emotivamente ma non dichiaro. Almeno non pubblicamente. Piuttosto mi capita di provare a scrivere per ordinare i contenuti che affiorano (hai mai provato?) e di leggere per provare a farmi domande ulteriori.
In fondo la velocità delle notizie mi fa spesso temere che vengano diffuse più in relazione a dei bisogni di timeline che per fornire una completezza di informazione (sempre che questa sia immaginabile). Inoltre per esprimere il mio pensiero avrei bisogno di un tempo che spesso non è quello concesso dalla rete (non sempre saprei riassumere il mio punto di vista nel tempo di lettura di un post).
Guardo gli argomenti che rimbalzano e diventano trend e mi chiedo se possano essere visti come sintomi collettivi se investono tutti orizzontalmente tanto da spronare ognuno a dire la sua, ma mi rimane la domanda aperta perché anche su questo non ho un pensiero pensato ma solo in bozza.
Non ultimo, ho un motivo professionale per non eccedere nelle dichiarazioni. Non credo nella totale imperscrutabilità della figura dell’analista, che forse solo agli albori della pratica poteva celare la conoscenza di se stesso come persona ai pazienti, ma mi chiedo spesso che effetto potrebbe fare alle persone che si rivolgono a me conoscere continuamente le mie opinioni.
Nella stanza di analisi porto la persona che sono, ma il mio ruolo non è quello di spiegare il mondo ed i suoi eventi ai miei pazienti. Sono lì per raccogliere le loro interpretazioni e provare a porre loro nuove domande, rendendo meno rigida la loro lettura del mondo e amplificando i possibili significati. Non voglio invaderli con i miei dichiarati e ad oggi non è proprio possibile valutare a chi arriverà una nostra frase scritta online. Per me, un motivo in più per dare peso anche al silenzio, al non dire o almeno a scegliere accuratamente le sedi della dichiarazione e dell’impegno.
Spero di aver chiarito il perché di alcuni miei silenzi, anche su temi su cui, lo capisco, a qualcuno potrebbe piacere sentire la mia opinione (vogliamo parlarne in una lunga oscura pausa tè dell'anima?*).
Ti lascio un suggerimento musicale, si tratta di "Parole" di Francesco Guccini...Buon ascolto!
Con gioia di parole ci riempiamo le mascelle E in aria le facciamo rimbalzare E se le cento usate sono in fondo sempre quelle Non è importante poi comunicare È come l'uomo solo che fischietta dal terrore E vuole nel silenzio udire un suono, far rumore
* Il testo che richiamo è un romanzo di Douglas Adams The Long Dark Tea-Time of the Soul che in italiano ha il titolo errato di La lunga oscura pausa caffè dell'anima (magari te ne parlo un'altra volta, ok?).
Gli ultimi anni indubbiamente ci stanno mettendo alla prova e dal punto di vista 'comunicazione' sento che ne usciamo abbastanza sconfitti.
Siamo passati dalla 'contabilità' del Covid a quella della guerra, senza farci mancare quella delle morti sul lavoro e dei femminicidi.
Lo vogliamo veramente raccontare così il nostro mondo?
Io personalmente no.
Non è questo, non è 'solo' questo, non è 'cinguettare' sempre e su tutto come se fossimo sempre in grado di esprimere pareri autorevoli su ogni argomento, senza avere più una sfera privata, tutto deve essere conosciuto, misurato, analizzato.
Un essere umano è molto di più, è come un diamante, dalle mille sfaccettature, brillante, raro, prezioso, da trattare con cura e rispetto per il suo valore.