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Di granitiche certezze e regole auree


Ah se solo esistesse una formula magica che tutto risolve!


Meglio se in tre, cinque, sette, dieci passi al massimo ed in un tempo calcolabile.

Meglio se vestita con frasi di certezza granitica, piene di «sempre» e di «mai», che non lasciano alcuno spazio alla possibilità, alla domanda, alla messa in questione.


Mi capita spesso, e sarà successo anche a te, di vedere sui social messaggi dal tono piuttosto perentorio.

Sia interventi che promettono strategie miracolose rispetto a desideratissimi cambiamenti, sia che spiegano in poche parole molto certe fenomeni della psiche piuttosto complessi.

Non faccio esempi perché non voglio che qualcuno si senta “tirato in ballo” ma penso che ci siamo capiti: parlo di affermazioni come “le 10 cose da fare se vuoi x”, “la tale condizione mentale/disagio spiegata in un reel”, “ti senti così perché x”.

Che effetto ti fanno?


A me questo approccio al mondo pare non solo irrispettoso di coloro che non ce la fanno ad arrivare alla condizione desiderata anche se davvero ci provano a mettere in pratica le millemila regole che vengono suggerite, ma anche pericoloso nel suo riduzionismo.

Ammetto di avere un punto di vista molto strutturato rispetto alle semplificazioni. Ad esempio detesto da sempre tutti quei testi di autoaiuto che hanno titoli come “E’ facile smettere di x se sai come farlo” o “X for dummies” e variazioni su questa linea (se si occupano di comportamenti e di psiche).

Sapere e saper fare non sono affatto la stessa cosa e la sequenzialità tra i due è auspicabile ma mai certa, soprattutto se siamo nel campo della psiche e di come essa ci metta in relazione con noi stessi e con il mondo (altrimenti aver studiato la psiche mi renderebbe impermeabile al disagio e sappiamo che non è così).


Siamo molto simili, noi umani. Abbiamo dei corpi che rispondono con una buona probabilità statistica in modi prevedibili agli stimoli (banalizzando, se prendo una aspirina posso pensare che mi abbasserà la febbre nello stesso modo in cui la abbassa a tutti gli umani), ma anche su questo permangono delle particolarità individuali (magari mi abbassa la febbre meno, perché ho sviluppato una resistenza al farmaco, o magari mi abbassa la febbre ma mi scopro allergica all’acido acetilsalicilico e mi crea degli effetti collaterali che la maggior parte degli umani non ha).


Se i nostri corpi sono molto simili, lo stesso possiamo dire delle nostre strutture cerebrali (il cervello fisico), ma quando entriamo nel mondo della psiche, cioè di tutto ciò che di immateriale “abita” il nostro cervello, possiamo solo in maniera molto ridotta affidarci alla statistica.

Sappiamo che ogni individuo attraversa il mondo cogliendo alcuni segnali con intensità squisitamente individuale (e ignorandone altri con la stessa variabilità), facendo esperienze che possono assomigliare a quelle di altri umani ma che non sono mai identiche sia per la scarsa riproducibilità dei fattori che compongono una esperienza sia per la nostra interpretazione individuale che modifica il senso delle esperienze ed anche il loro ricordo.


Ti faccio un esempio: sia io che te siamo andate alla scuola elementare, che è una esperienza formale e abbastanza strutturata. Ma sappiamo che quei cinque anni sono stati molto diversi per noi, che non ci conosciamo e abbiamo frequentato scuole diverse in luoghi e tempi diversi.

Nemmeno io e il mio compagno di banco delle elementari abbiamo fatto la stessa esperienza: ne abbiamo condiviso i contorni, ma la lettura di senso che abbiamo dato ci avrà fatto interiorizzare e mettere a memoria aspetti diversi. Che a loro volta saranno diventati la base per riflessioni diverse, mattoni che ognuno di noi ha usato per costruire la propria visione del mondo. Diversa.

Tanto che magari io ho letto la scuola come un posto stupendo e ho avuto la voglia di allungare il più possibile la mia permanenza nella posizione di studente e lui potrebbe aver letto la scuola come tremenda e aver deciso di diventare un pirata [no, non ho un amico pirata].


Ora in mezzo a tutta questa variabilità noi umani possiamo esperire un senso di vertigine, che può sembrare a qualcuno l’apertura di milioni di possibilità [citerei il multiverso, ma non ho ancora la certezza che sia una citazione del tutto esatta] e a qualcun altro l’impossibilità di orientarsi, angosciante e magari bloccante.

Per questo tendiamo a studiare la nostra psiche e il suo impatto sull’individuo, a creare statistiche, a studiare modi per raggruppare comportamenti, esperienze, elaborazioni… insomma mettiamo in atto continui tentativi di derimere e dominare il caos dell’esistenza.

Lo faccio anche io ogni volta che rileggo una teoria psicologica cercando uno spunto per la comprensione della realtà o ogni volta che consulto il meteo o anche che leggo una ricetta di cucina (sì, anche lì la quota di indeterminazione è altissima, anche quando sono scritte come precisissime formule alchemiche e non disseminate di “q.b.” o “quando ti sembra cotto” o “fino a densità desiderata” come quelle scritte da mia nonna).


E quindi come fare? Ci arrendiamo ad accogliere quello che arriva in maniera passiva? No, assolutamente.

Ma possiamo e dobbiamo imparare a comunicare diversamente, dando il giusto peso alle mirabolanti strategie che proponiamo e spesso vendiamo, insistendo non sulla loro assoluta efficacia ma sulla possibilità che funzionino.

Un esempio?

Prendiamo la strategia della sveglia alle 5.30 (una a caso, tra quelle che tempestano i social e ultimamente anche la mia casella di posta). Il mantra è che ti migliorerà la vita, ti farà essere più produttivo e soddisfatto. Messa così è allettante per tutti coloro che non si sentono produttivi, che non sono soddisfatti o che sentono che la loro vita potrebbe migliorare e non sanno da che parte rifarsi.

Ma tra di loro ci sono molte persone che anche alzandosi presto non esperiranno quel miglioramento (anche solo perché il loro obiettivo magari non è ben mirato), altri che non ce la faranno a mettere in pratica la routine, altri che si fisseranno così tanto da farla diventare una mania e una quota di persone che ne esperiranno i benefici.

Visto che solo queste ultime proveranno qualcosa di positivo e per tutte le altre il pacchetto comprende frustrazione, rabbia e magari anche disperazione (dipende da quanto era importante il cambiamento desiderato o da quanti tentativi simili la persona ha fatto), non sarebbe più onesto inserire l’incertezza, vendere una strategia in meno e rimanere in una area di maggiore eticità?

“Questo metodo potrebbe aiutarti” suona molto meno menzognero di “questo metodo ti risolve la vita” perché di soluzioni facili e buone per tutti non ce ne sono molte.

Non credo aver mai consigliato un libro nei percorsi di libroterapia dandogli questa aurea di magia, di risoluzione, di certezza. “Leggilo, penso potrà aiutarti a riflettere” è molto diverso da “Leggilo, questo ti farà risolvere x”. Non credi?


Mi direte che nel tempo di un video sui social gli approfondimenti non entrano, le variabilità portano confusione, le possibilità sembrano incertezze. Bene, evitiamo di voler spiegare una condizione psicologica complessa in un tempo così limitato. Quello potrebbe non essere il mezzo di comunicazione adatto a comunicare in maniera etica questo tipo di messaggi.

Quando vedo la dipendenza affettiva spiegata in un video che dura meno di un caffè, mi viene sempre in mente come deve stare la persona che veramente soffre nel vedere banalizzare la sua situazione o nell’immaginare che ci sia qualcuno in grado di raccontarla in quattro punti certi e due soluzioni immediate.

Ma la mia dipendenza affettiva e la tua, sempre che la abbiamo, non saranno che “simili”, mai identiche. E saranno agganciate a esperienze e significati diversi, richiedendo un approccio su misura. Che poi è quello che si fa nel lavoro con i pazienti, dove applicare una strategia statica e buona per tutti non è possibile.


Negli ultimi anni mi sono resa conto che più mi formo, più approfondisco e più incontro la voglia di mettere in discussione le certezze.

Mi piace coltivare domande e se vuoi ce ne possiamo scambiare alcune, come si faceva con le figurine.


Tu che ne pensi?




(in foto, alcune delle carte di Amenti Oracle, che potrebbero ispirare la nostra comunicazione)

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